leNOTIZIE

Milanese su PNRR

Milanese su PNRR

Il Presidente di Confcooperative Sanità Giuseppe Milanese affida a Panorama Sanità la sua analisi su #PNRR

Categorie: in PRIMO piano

Tags: Milanese ,   PNRR

Il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità scrive sul numero di gennaio di Panorama della Sanità: “I conti non tornano. Si operi con un censimento analitico – Regione per Regione – delle strutture già esistenti o a tal fine utilizzabili e del personale effettivamente in forze: che poi è un modo per capire con quali dotazioni di armi e uomini ci si potrà cimentare in questa guerra. E poi si adotti un metodo funzionale: che per la nostra visione è quello della sussidiarietà.

”Il Servizio Sanitario Nazionale va ammodernato (o riformato, o rivoluzionato): e va bene, tutti più o meno concordi. Il PNRR è (o può essere) una manna dal cielo: e anche qui, nessuno sembra avere da eccepire. Gli investimenti previsti individuano (finalmente) la sanità territoriale come leva della riforma: evviva, deo gratias, guardiamo al futuro e non piangiamo per il latte versato negli ultimi 40 anni. Con queste premesse, filerà tutto liscio, si dovrebbe procedere speditamente verso un sistema della Salute a misura e a tutela di paziente, quali inceppi potrebbero esserci? E no, teniamolo a mente, siamo in Italia e storicamente l’esperienza riformatrice del Belpaese non è stata sempre proficua. Anzi, ha subito stop’n go quando meno ce lo si aspettava, o è stata accidentata, o ha preso pieghe talmente surreali da imboccare strade diametralmente opposte a quelle prefigurate. Occorre quindi andar cauti, usando cioè quella cautela premurosa che sanno avere soltanto le levatrici negli stretti mesi che conducono al parto.

Guardiamo con attenzione – analizziamo, soppesiamone i possibili pro e contro – ai modelli organizzativi su cui fondare l’assistenza territoriale individuati dal PNRR, con un occhio più acuto a risorse e tempistiche, che poi rappresentano le reali ascisse ed ordinate di una riforma. Non sono, come sa bene chi mi conosce, un bastian contrario. Eppure devo rilevare, dalle schede progettuali del Piano, alcuni nodi di criticità non di poco conto, che ci interrogano addirittura se la futuribile architettura del territorio risulterà solida o precaria.

Provo a ragionare ad alta voce, aprendomi al confronto: la prima preoccupazione attiene alle nuove strutture. Com’è noto, le risorse stanziate per le 1.288 case della comunità e per i 381 ospedali di comunità saranno assorbite dalla costruzione o ristrutturazione e dalla dotazione tecnologica dei nuovi presidi. Pur perplesso sulla reale efficacia di estendere, a livello nazionale, modelli con una precisa identità regionale, mi domando e chiedo: quale personale sosterrà a regime queste strutture? Per le case di comunità, se si escludono i medici di medicina generale, il fabbisogno di personale è stimato per oltre 6mila amministrativi e più di 10mila infermieri. Sono stati stanziati solo 94,5 milioni (appostati nel Decreto Rilancio) per l’assunzione di 2.363 infermieri di comunità, mentre per le restanti 14mila unità il PNRR non contempla oneri aggiuntivi a carico del SSN. È lecito presumere, pertanto, un vasto spostamento di risorse umane da altre strutture. Per gli ospedali di comunità, invece, a fronte di un fabbisogno di più di 3.400 infermieri e di quasi 2.300 OSS, è stata calcolata una spesa ulteriore di circa 240 milioni, da coprire attraverso i futuri risparmi derivanti dal cosiddetto “Piano di Sostenibilità”. Un discorso analogo investe anche l’assistenza domiciliare. I costi per assistere a domicilio 807.970 nuovi pazienti ammontano infatti a 1,6 miliardi, di cui solo 500 milioni sono finanziati dal Decreto Rilancio. Dal 2027 mancheranno all’appello 1,1 miliardi, da reperire sempre attraverso il Piano di Sostenibilità.

Pur convinto che una maggiore capacità di risposta sul territorio genererà economie sui livelli di maggiore complessità, soprattutto per l’ospedale, è difficile prevedere – come prospettato dal Piano – risparmi per oltre 1,3 miliardi nel 2027. Anche perché, e ciò conduce al secondo aspetto critico, il PNRR reitera uno dei principali fattori di debolezza dell’assistenza domiciliare nel nostro Paese. C’è infatti una questione di ampiezza del bacino di utenza, considerando che non ci schiodiamo dal 2,8% di over-65 trattati, ma c’è anche un problema di continuità dell’ADI, con una media nazionale desolante di 15 ore/anno di assistenza per paziente. La stratificazione contenuta nel PNRR prevede tra le 12 e le 36 ore di assistenza all’anno per l’80% dei nuovi utenti. Numeri sideralmente distanti dagli standard europei e che ripropongono, in chiave sanitaria, la celebre storia del “pollo di Trilussa”, per cui tutti i pazienti, in termini di distribuzione statistica, risulterebbero assistiti, mentre nei fatti solo il 20% riceve cure degne di questo nome. Tra l’altro, con livelli assistenziali così bassi, è difficile immaginare quei benefici attesi sul setting ospedaliero su cui si fonda l’attendibilità del Piano di risparmi.

La terza e ultima criticità riguarda il personale. Rischiamo, infatti, una riforma letteralmente “senza braccia”. Rispetto alla sola ADI, per sostenere 900mila nuove prese in carico occorreranno almeno 110mila operatori, perlopiù infermieri che, semplicemente, non ci sono. Il PNNR calcola 96mila nuovi infermieri formati per il 2027, ma bisogna considerare i pensionamenti, stimati nel Piano ottimisticamente in 26mila (2020-2026), rispetto ad un dato reale di quasi 38mila infermieri pensionati tra il 2014 e il 2018. I conti non tornano e, allora, come fare? Noi battiamo da tempo sul ferro caldo della configurazione di nuovi profili professionali (e cioè l’OSS specializzato) con una formazione ad hoc nell’ADI, ovviamente sotto la supervisione ed il coordinamento infermieristico.

Emerge dunque il rischio di investire su una riforma insostenibile sul lungo periodo senza che si alimenti una mole di spesa corrente ingestibile. Allora, anzitutto si operi con un censimento analitico – Regione per Regione – delle strutture già esistenti o a tal fine utilizzabili e del personale effettivamente in forze: che poi è un modo per capire con quali dotazioni di armi e uomini ci si potrà cimentare in questa guerra. E poi si adotti un metodo funzionale: che per la nostra visione è quello della sussidiarietà. Quindi di uno Stato che programma e controlla (e su queste funzioni concentrerei le assunzioni) e un sistema privato (possibilmente no profit) sul territorio che compete sul piano della qualità, in modo da delegare la scelta ai cittadini. Forse così si assicurerà la giusta salute e si realizzerà qualche porzione di Costituzione rimasta colpevolmente inevasa.

Giuseppe Maria Milanese

Documenti da scaricare