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IV CONFERENZA NAZIONALE ASSISTENZA PRIMARIA

IV CONFERENZA NAZIONALE ASSISTENZA PRIMARIA

Milanese:"Lo diciamo da tempo "Il Re è nudo", e la pandemia ci ha dimostrato l'impellenza di  realizzare un nuovo paradigma di cura che passi dalle singole prestazioni alla presa in carico integrata".

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Tags: gianfranco damiani ,   giuseppe milanese ,   Armando Muzzi ,   Marco Trabucchi ,   Ovidio Brignoli ,   Mara Morin ,   Istituto Superiore Studi Sanitari “Giuseppe Cannar ,   IV Conferenza Nazionale Assistenza Primaria

Queste le parole del Presidente di Confcooperative Sanità, intervenuto nella seconda sessione della prima giornata della IV Conferenza nazionale sull'assistenza primaria, organizzata dall'Istituto Superiore di Studi Sanitari "Giuseppe Cannarella", sessione animata dalla discussione sulle tematiche della continuità delle cure e della risposta ai bisogni. 

“Il virus ha messo in crisi un sistema che non era pronto per le cronicità – commenta Giuseppe Milanese -. Lo potevamo prevedere? Nel 2019 l’Oms evidenziava un rischio per le malattie croniche in una popolazione anziana, un ritardo nella digitalizzazione e regionalizzazione dei sistemi. Sono anni che evidenziamo che il problema è la mancanza di una regia”.  “In un sistema che nel tempo ha ridotto i posti letto, è anacronistica la scelta di alcune Regioni di chiedere all’ospedale di occuparsi della assistenza territoriale. Ad oggi l'assistenza viene erogata per la maggior parte delle Regioni attraverso gare pubbliche. Lo Stato deve fare una scelta politica: decidere se fare l’erogatore o se fare il programmatore e il controllore”. Quello che serve, ha ribadito Milanese, è “un nuovo paradigma di cura in cui passare dalle singole prestazioni a una presa in carica reale di persone che hanno bisogni complessi”. Da rappresentante delle cooperative del settore, Milanese aggiunge: “Chiediamo di smetterla con le gare per l’assistenza domiciliare. Chiediamo di costituire sistemi di accreditamento con un livello nazionale di omogeneità in cui i cittadini possano scegliere liberamente, protocolli con standard alti, controllati dallo Stato, che bandiscano dal sistema chi se ne è approfittato e, infine, l’interazione dei servizi come la farmacia”. Per realizzare questi obiettivi però “non ci possono essere 20 regie ma regole certe di accreditamento, reti multiprofessionali con un’anima giuridica, come la cooperativa,  ruoli chiari e definiti fra soggetti privati profit e no profit, rigore nella misurazione. Tutto ciò potrebbe dare vita a un sistema utile a portare fuori dall’impasse il Paese”. 

“La ricerca sul covid ha portato vantaggi anche per l’assistenza primaria. La formazione deve essere tecnica e culturale cioè bisogna inserire il bisogno di assistenza primaria fra i bisogni complessivi del paziente. La formazione ci permette di contare su figure professionali adatte ad affrontare la sfida continua posta dal Covid”, queste le considerazioni di Marco Trabucchi, Psicogeriatra, Presidente AIP, Istituto Superiore Studi Sanitari “Giuseppe Cannarella” che insieme a Armando Muzzi, esperto di Sanità pubblica, Istituto Superiore Studi Sanitari “Giuseppe Cannarella” ha moderato la sessione.

“Il covid – osserva Gianfranco Damiani, Professore di Igiene Generale ed Applicata Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma - è stato uno stress test sul Ssn che ha impattato sulla cronicità per la quale si spedono circa 67 miliardi. Prima di quest’anno, l’Oms aveva inserito la mancanza di un sistema di assistenza primaria fra le dieci minacce della salute globale. Importante elemento a supporto della vision di sistema è l’engagement degli individui che modifica il modello del paziente al centro per cui bisogna agire sulla leva formativa sia universitaria sia post”. Altro tassello su cui intervenire secondo il professor Damiani è “L'integrazione fra le figure professionali, fondamentale per rispondere ai bisogni di assistenza primaria. Il rapporto fra sanità pubblica e assistenza primaria è inscindibile può trovare 5 aree intervento: il coordinamento fra i servizi sociosanitari, l’applicazione della prospettiva di comunità alla pratica clinica, l’impiego della medicina del territorio, il potenziamento della prevenzione, la collaborazione fra i temi di policy e ricerca. Spero che una pandemia basti per capire l’importanza di questo approccio sistemico”.  

Dei medici di medicina generale come pezzo del sistema parla Ovidio Brignoli, medico medicina generale, Vicepresidente SIMMG Società Italiana di Medicina Generale. “La complessità di cura – dice - necessita nuovi paradigmi nella medicina generale e ciò che la circonda. Noi medici di medicina generale non ci dovremmo occupare solo della malattia ma dovremmo lavorare in continuità con gli altri operatori sanitari. Dobbiamo formare i medici di medicina generale al concetto di accoglienza e presa in carico in particolare delle persone croniche. La medicina generale va orientata alla formazione di presa in carico per processi. Per farlo occorre che la medicina generale diventi trasparente per essere valutata”. Il tema vero, secondo Brignoli, è definire il ruolo del clinical manager insieme alla “Assoluta necessità di identificare il case manager” mancante in Italia. “Dobbiamo – aggiunge - imparare a ragionare con i piani di assistenza individuale in modo che i percorsi siano  scritti, condivisi, leggibili da tutti e integrati”.   

A compiere un quadro attuale dei vari tasselli dell’assistenza è Mara Morini, Coordinatore gruppo di lavoro SITI Primary Health Care che pone l’accento sui percorsi diagnostici terapeutici assistenziali. “Il PDTA – spiega Morini - è stato l’apripista di una modalità aperta al dialogo dei professionisti, una sorta di allenamento, un aiuto per affrontare meglio le situazioni di complessità. Sapere qual è l’iter della malattia infatti diventa un elemento importante perché crea consapevolezza su ciò che è necessario fare”. In futuro si parla “Di una nuova figura professionale che dovrebbe garantire l’integrazione fra il sanitario e il socio sanitario, in grado di facilitare il percorso e allertare il medico di famiglia”. Morini prevede anche “Il ruolo specifico nella comunità capace di andare a mobilitare risorse che possono dedicarsi a interventi che in qualche modo possono diventare nel sistema di cura”.

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