leNOTIZIE

DIAGNOSI NORMATIVE

DIAGNOSI NORMATIVE

Questa settimana un'analisi del Piano Nazionale Liste di Attesa. Quali i possibili risvolti per la cooperazione sanitaria?

Categorie: in PRIMO piano

Tags: Piano Nazionale Liste di attesa ,   specialistica ambulatoriale ,   cooperazione sanitaria ,   Rapporto Censis ,   Agenas

Il Ministero della salute lancia in questi giorni un nuovo Piano nazionale di governo delle liste di attesa.

Previsto dal "Contratto di governo", l’intervento è in attesa della condivisione con le Regioni ed è presentato con una enfasi comunicativa che suscita qualche perplessità, trattandosi di una modesta riedizione dei precedenti Piani, l’ultimo dei quali risalente al biennio 2010-2012 e produttivo di risultati modesti per la cittadinanza, stando all’ esito dei monitoraggi compiuti dall’ Agenas.

Cominciamo dagli aspetti di specifico interesse della cooperazione sanitaria.Dobbiamo rilevare due importanti lacune.

  • Il Piano affronta il tema delle liste di attesa limitando l’intervento regolatorio alle sole prestazioni specialistiche ambulatoriali ed ai ricoveri ospedalieri, mentre ignora l’area dei servizi territoriali.

Una svista ? No è l’espressione di una politica sanitaria che continua a considerare marginali aree assistenziali - come sono l’ADI, le residenzialità, la semiresidenzialità, le degenze extraospedaliere nei presidi intermedi - nelle quali la cooperazione è impegnata a colmare più che ritardi vere e proprie carenze per molti aspetti assolute. E ciò nonostante tutte le evidenze scientifiche e tecniche ne attestano la centralità a fronte di una domanda specifica che cresce ed investe fasce sempre più estese della popolazione.

  • Il Piano mette al centro della strategia di contenimento dei tempi di attesa il sistema della prenotazione. Lo si vuole razionalizzare e potenziare investendo ulteriori risorse, ma l’approccio è tarato sull’offerta pubblica integrando in essa quella accreditata.

Ma poco, troppo poco, ci si preoccupa di rafforzare la rete dei punti di front-office presidiati, attraverso i quali il cittadino può facilmente accedere alla prenotazione. Sotto questo profilo del tutto ingiustificabile, stanti le chiare previsioni legislative, appare la scarsa attenzione dedicata ai nuovi servizi della farmacia, ambiguamente richiamati attraverso la formula della “farmacia di comunità”, che è un modello in via di costruzione fortemente orientato sulla dimensione scientifico-professionale del farmacista e non su quello del servizio al cittadino.

A queste riserve possiamo aggiungere una riflessione di ordine generale che ci porta oltre i confini specifici del Piano per valutare l’efficacia dei tempi e dei modi con cui il sistema nel suo complesso affronta lo stato in cui versa l’offerta al cittadino. Da sempre la difficoltà di accesso ai servizi è emersa con intensità variabile in tutto il territorio nazionale.Nell’ultimo decennio il fenomeno ha assunto dimensioni tali da diventare una vera e propria emergenza dichiarata. Proprio in questi giorni il 52° Rapporto Censis ci dice che il difficile accesso alle cure è uno dei fattori che alimenta il rancore sociale e lo sta trasformando in cattiveria sociale verso i più marginali.

Ci chiediamo se, nel lanciare questo ennesimo tentativo di correggere lo stato delle cose, si abbia o meno coscienza che il vero nemico da battere è paradossalmente proprio la barriera immateriale, ma resistentissima a tutte le innovazioni: una macchina burocratica colpevolmente autoreferenziale che dimentica il bisogno di cura come vero centro del sistema di regole da comporre. 

Per approfondire...uno sguardo al Piano. Nel suo impianto generale il Piano (indicato in codice con la formula impronunciabile di PNGLA) ricalca i i seguenti principi generali, che a ben vedere sono solo marginalmente innovativi rispetto a quelli già consolidati nei precedenti piani:

  • definizione di standard nazionali dei tempi massimo di attesa per l’accesso alle prestazioni specialistiche ambulatoriali e di ricovero. Gli standard si riferiscono a tutte le prestazioni e non solo ad una parte di esse e sono vincolanti per le regioni;
  • declinazione di tali standard secondo classi di priorità: urgente (massimo entro 72 ore); breve (da eseguire entro 10 giorni); differibile(da eseguire entro 30 giorni per le visite e 60 giorni per gli accertamenti diagnostici); programmata (da eseguire entro 120 giorni) per quelle ambulatoriali e quattro classi di priorità per quelle in ricovero (entro 30, 60, 180 giorni,almeno entro 12 mesi secondo criteri di appropriatezza e di priorità clinica);
  • obbligo di indicare sulla prescrizione la classe di priorità, il quesito diagnostico nonché se trattasi di primo contatto con il SSN o di una prestazione successiva di approfondimento, controllo, follow up di pazienti presi in carico dal primo specialista;
  • introduzione ex novo di un canale di prescrizione e di prenotazione degli accessi successivi gestito direttamente dallo specialista mediante il ricorso ad agende dedicate del CUP regionale;
  • conferma della centralità del CUP on-line disciplinato dalle linee guida dettate dal 2010 per la consultazione del tempo di attesa, il rilascio della prenotazione, il pagamento del ticket la gestione delle modifiche e delle disdette con la previsione del pagamento della compartecipazione alla spesa nel caso di mancata presentazione ingiustificata dell’utente (ai sensi dell’articolo 3, comma 15 della legge 124/1998);
  • regolamentazione del monitoraggio, concentrato sui flussi informativi relativi ad un set di 66 prestazioni ambulatoriali, di 18 prestazioni di ricovero ordinario e diurno e di due percorsi diagnostico terapeutico assistenziali (tumore della mammella e tumore del colon retto).

Sul versante organizzativo-gestionale il Piano contiene una serie di indirizzi apparentemente ovvi, ma in realtà molto significativi e da valutare nella loro portata esplicativa degli ambiti di manovra delle risorse umane e strumentali che l’ordinamento vigente consente all'Amministrazione locale:

  1. programmare il fabbisogno tenendo conto non solo della spesa ma valutando le diverse dinamiche per tipologia di accesso (primo o successivo) e per branca specialistica e garantendo il principio di prossimità e di raggiungibilità per le prestazioni di primo accesso;
  2. promuovere l’appropriatezza delle prescrizioni e vigilare su di essa senza appesantirne l’esercizio;
  3. facilitare e smistare razionalmente e in modo trasparente gli accessi al servizio selezionando la tipologia della domanda e affidandone la gestione a sistemi telematici centralizzati anche se distribuiti sul territorio;
  4. potenziare in modo mirato l’offerta mobilitando i fattori di produzione nel rispetto dei vincoli contrattuali, in modo da prolungare l’orario di apertura delle strutture alle ore serali e ai prefestivi e da accrescere le performance delle grandi apparecchiature portandole almeno all’ 80 percento della loro capacità produttiva;
  5. affrontare e gestire le situazioni critiche smistando la domanda eccedente sulle strutture esterne accreditate e ricorrendo, se necessario, alla trasformazione negoziata di una quota delle prestazioni erogate dagli specialisti operanti in regime libero professionale intramurario in erogazioni istituzionali poste a carico delle Aziende al netto della compartecipazione del cittadino e ricorrendo al blocco dell’attività libero professionale nel caso di superamento del rapporto con l’attività istituzionale; 
  6. monitorare sistematicamente l’andamento degli accessi;
  7. responsabilizzare il management nel caso del mancato rispetto dei tempi di attesa.

A cura di Giorgio Verdecchia