I cento anni di storia della vostra azione sono un traguardo importante, che non può passare sotto silenzio. Essi rappresentano un percorso di cui essere grati per tutto ciò che siete riusciti a realizzare, ispirati dal grande appello dell’Enciclica Rerum novarum del Papa Leone XIII. Questo Pontefice in maniera profetica ha aperto la grande riflessione sulla dottrina sociale della Chiesa. La sua è stata un’intuizione fiorita sulla convinzione che il Vangelo non è relegabile solo a una parte dell’uomo o della società, ma parla a tutto l’uomo, per renderlo sempre più umano. Quelli in cui Papa Leone scriveva erano tempi difficili, ma ogni epoca ha le sue fatiche e le sue difficoltà.
La vostra storia è preziosa perché nasce dall’aver preso sul serio le parole del Papa e dall’averle rese concrete attraverso un serio e generoso impegno che dura da un secolo. È un forte segno di speranza quando la dottrina sociale della Chiesa non rimane una parola morta o un discorso astratto, ma diventa vita grazie a uomini e donne di buona volontà, che le danno carne e concretezza, trasformandola in gesti personali e sociali, concreti, visibili e utili.
Anche oggi la Chiesa non ha solo bisogno di dire ad alta voce la Verità; ha sempre necessità di uomini e donne che trasformino in beni concreti ciò che i pastori predicano e i teologi insegnano. In questo senso, oggi, dire “grazie” a voi per i vostri cent’anni d’impegno è anche indicare un esempio per gli uomini del nostro tempo, che hanno bisogno di scoprirsi non solo “prenditori” di bene, ma “imprenditori” di carità.
Il vostro modello cooperativo, proprio perché ispirato alla dottrina sociale della Chiesa, corregge certe tendenze proprie del collettivismo e dello statalismo, che a volte sono letali nei confronti dell’iniziativa dei privati; e allo stesso tempo, frena le tentazioni dell’individualismo e dell’egoismo proprie del liberalismo. Infatti, mentre l’impresa capitalistica mira principalmente al profitto, l’impresa cooperativa ha come scopo primario l’equilibrata e proporzionata soddisfazione dei bisogni sociali. Certamente anche la cooperativa deve mirare a produrre l’utile, ad essere efficace ed efficiente nella sua attività economica, ma tutto questo senza perdere di vista la reciproca solidarietà.
Per questo motivo il modello di cooperativa sociale è uno dei nuovi settori sui quali oggi si sta concentrando la cooperazione, perché esso riesce a coniugare, da una parte, la logica dell’impresa e, dall’altra, quella della solidarietà: solidarietà interna verso i propri soci e solidarietà esterna verso le persone destinatarie. Questo modo di vivere il modello cooperativo esercita già una significativa influenza sulle imprese troppo legate alla logica del profitto, perché le spinge a scoprire e a valutare l’impatto di una responsabilità sociale. In tal modo, esse vengono invitate a considerare non solo il bilancio economico, ma anche quello sociale, rendendosi conto che bisogna concorrere a rispondere tanto ai bisogni di quanti sono coinvolti nell’impresa quanto a quelli del territorio e della collettività. È in questo modo che il lavoro cooperativo esplica la sua funzione profetica e di testimonianza sociale alla luce del Vangelo.
Ma non dobbiamo mai dimenticare che questa visione della cooperazione, basata sulle relazioni e non sul profitto, va controcorrente rispetto alla mentalità del mondo. Solo se scopriamo che la nostra vera ricchezza sono le relazioni e non i meri beni materiali, allora troviamo modi alternativi per vivere e abitare in una società che non sia governata dal dio denaro, un idolo che la illude e poi la lascia sempre più disumana e ingiusta, e anche, direi, più povera.
Grazie per il vostro lavoro impegnativo, che crede nella cooperazione ed esprime l’ostinazione a restare umani in un mondo che vuole mercificare ogni cosa. E sull’ostinazione abbiamo sentito questa nostra sorella che ha dato testimonianza oggi: ci vuole ostinazione per andare avanti su questa strada quando la logica del mondo va in un’altra direzione. Vi ringrazio per la vostra ostinazione..., e questo non è peccato! Andate avanti così.
Ma il vantaggio più importante ed evidente della cooperazione è vincere la solitudine che trasforma la vita in un inferno. Quando l’uomo si sente solo, sperimenta l’inferno. Quando, invece, avverte di non essere abbandonato, allora gli è possibile affrontare ogni tipo di difficoltà e fatica. E questo si vede nei momenti brutti. Così come il vostro presidente ha ricordato che in cooperativa “uno più uno fa tre”, bisogna anche ricordare che nei momenti brutti uno più uno fa la metà. Così [la cooperazione] fa sì che le cose brutte possano essere migliori. Il nostro mondo è malato di solitudine – lo sappiamo tutti –, per questo ha bisogno di iniziative che permettano di affrontare insieme ad altri ciò che la vita impone. Camminando e lavorando insieme si sperimenta il grande miracolo della speranza: tutto ci sembra di nuovo possibile. In questo senso la cooperazione è un modo per rendere concreta la speranza nella vita delle persone.
Potremmo così dire che la cooperazione è un altro modo di declinare la prossimità che Gesù ha insegnato nel Vangelo. Farsi prossimo significa impedire che l’altro rimanga in ostaggio dell’inferno della solitudine. Purtroppo la cronaca ci parla spesso di persone che si tolgono la vita spinte dalla disperazione, maturata proprio nella solitudine. Non possiamo rimanere indifferenti davanti a questi drammi, e ognuno, secondo le proprie possibilità, deve impegnarsi a togliere un pezzo di solitudine agli altri. Va fatto non tanto con le parole, ma soprattutto con impegno, amore, competenza, e mettendo in gioco il grande valore aggiunto che è la nostra presenza personale. Va fatto con vicinanza, con tenerezza. Questa parola, tenerezza, che rischia di cadere dal dizionario perché la società attuale non la usa tanto. Solo quando ci mettiamo in gioco in prima persona possiamo fare la differenza.
Ad esempio, è solidarietà impegnarsi per dare lavoro equamente retribuito a tutti; permettere a contadini resi più fragili dal mercato di far parte di una comunità che li rafforza e li sostiene; a un pescatore solitario di entrare in un gruppo di colleghi; ad un facchino di essere dentro una squadra, e così via. In questo modo, cooperare diventa uno stile di vita. Ecco: cooperare è uno stile di vita. “Io vivo, ma da solo, faccio il mio e vado avanti…”. È un modo di vivere, uno stile di vita. L’altro invece è: “Io vivo con gli altri, in cooperazione”. È un altro stile di vita, e noi scegliamo questo.
A questo proposito, un episodio del Vangelo di Marco ci viene in aiuto: «[Gesù] entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: “Figliolo, ti sono rimessi i peccati”» (2,1-5). E poi lo guarì.
Quando pensiamo a questa pagina del Vangelo siamo subito attirati dal grande miracolo del perdono e successivamente della guarigione fisica di quest’uomo; ma forse ci sfugge un altro miracolo: quello dei suoi amici. Quei quattro uomini si caricano sulle spalle il paralitico; non rimangono indifferenti davanti alla sofferenza dell’amico malato; non si mimetizzano in mezzo alla folla con tutti gli altri per ascoltare Gesù. Questi uomini compiono un gesto miracoloso: si mettono insieme e, con una strategia vincente e creativa, trovano il modo non solo di prendersi in carico quest’uomo, ma anche di aiutarlo a incontrare Colui che può cambiare la sua vita. E non potendolo fare attraverso la via più semplice, a causa della folla, hanno il coraggio di arrampicarsi sul tetto e scoperchiarlo. Sono loro che aprono il varco attraverso il quale il paralitico potrà avvicinarsi a Gesù e uscire cambiato da quell’incontro. L’Evangelista nota che Gesù si rivolse a quell’uomo «vedendo la loro fede», cioè la fede di tutto il gruppo: del paralitico e degli amici.
In questo senso possiamo dire che la cooperazione è un modo per “scoperchiare il tetto” di un’economia che rischia di produrre beni ma a costo dell’ingiustizia sociale. È sconfiggere l’inerzia dell’indifferenza e dell’individualismo facendo qualcosa di alternativo e non soltanto lamentandosi. Chi fonda una cooperativa crede in un modo diverso di produrre, un modo diverso di lavorare, un modo diverso di stare nella società. Chi fonda una cooperativa ha un po’ della creatività e del coraggio di questi quattro amici del paralitico. Il “miracolo” della cooperazione è una strategia di squadra che apre un varco nel muro della folla indifferente che esclude chi è più debole.
Una società che diventa muro, fatta dalla massa di tanti individui che non pensano e non agiscono come persone, non è in grado di apprezzare il valore fondamentale delle relazioni. Non si può agire veramente come persone quando si è malati di indifferenza ed egoismo. Allora, in realtà, il vero “paralitico” non è quell’uomo che portarono arrampicandosi per metterlo davanti a Gesù; il vero paralitico è la folla, che impedisce di arrivare a una soluzione. Una folla fatta di individui che guardano solo i propri bisogni senza accorgersi degli altri, e così non scoprono mai il gusto pieno della vita. L’individualismo impedisce la piena felicità, perché esclude l’altro dall’orizzonte. Quando rimango cieco davanti alla sofferenza e alla fatica degli altri, in realtà rimango cieco davanti a ciò che potrebbe rendermi felice: non si può essere felici da soli. Gesù nel Vangelo lo dice con una frase lapidaria: «Quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma poi perde o rovina se stesso?» (Lc 9,25).
Cari fratelli e sorelle, viviamo in un mondo che è preso dalla frenesia di possedere, e che fa fatica a camminare come comunità. L’egoismo è sempre forte. Il lavoro che portate avanti da cento anni è quello di opporre la relazione all’individualismo, la squadra all’interesse, il benessere di tutti agli interessi di pochi.Ho già avuto modo di raccontare in altre occasioni ciò che mi rimase impresso quando avevo 18 anni, nel 1954, ascoltando parlare mio padre proprio di questo tema. Fin da allora mi sono convinto che la cooperazione cristiana è la strada giusta. Magari economicamente può sembrare più lenta, ma è la più efficace e sicura, quella che arriva più in avanti.
Per questo mi sono piaciute le parole del Presidente, che rappresentano con umiltà il grande impegno che la cooperazione ha profuso nel Paese e nel mondo.
In particolare, sono lieto di sentire che avete frequentato le periferie esistenziali dove si annidano di più le vulnerabilità: è questo il luogo privilegiato della nostra testimonianza. Insistere sulla categoria delle periferie è dovuto alla scelta che ha fatto Gesù, il Figlio di Dio, venendo nel mondo. Egli ha scelto la periferia come centro della sua missione. E non l’ha fatto solo geograficamente venendo al mondo in una periferia del grande impero romano, ma lo ha fatto andando incontro ad ogni uomo messo in periferia a causa della povertà, della malattia e dei suoi stessi sbagli.
In questo mondo globalizzato, dobbiamo metterci in sintonia con quello che insegna la dottrina sociale della Chiesa quando parla della centralità della persona. San Giovanni Paolo II ha spiegato bene tutto questo nell’Enciclica Centesimus annus. A un certo punto scrive: «Se un tempo il fattore decisivo era la terra e più tardi il capitale, inteso come massa di macchinari e di beni strumentali, oggi il fattore decisivo è sempre più l’uomo stesso, e cioè […] la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacità di intuire e soddisfare il bisogno dell’altro» (n. 32). Dovremmo quindi comprendere l’importanza di far acquisire abilità professionali e offrire percorsi di formazione permanente, specialmente a quelle persone che vivono ai margini della società e alle categorie più svantaggiate.
A questo riguardo, sono soprattutto le donne che, nel mondo globale, portano il peso della povertà materiale, dell’esclusione sociale e dell’emarginazione culturale. Il tema della donna dovrebbe tornare a essere tra le priorità dei progetti futuri in ambito cooperativo. Non è un discorso ideologico. Si tratta invece di assumere il pensiero della donna come punto di vista privilegiato per imparare a rendere la cooperazione non solo strategica ma anche umana. La donna vede meglio che cos’è l’amore per il volto di ognuno. La donna sa meglio concretizzare ciò che noi uomini a volte trattiamo come “massimi sistemi”.Cari amici, vi auguro che i cento anni passati spalanchino davanti a voi scenari di impegno nuovi e inediti, rimanendo sempre fedeli alla radice da cui tutto è nato: il Vangelo. Non perdete mai di vista questa sorgente, e rintracciate nei gesti e nelle scelte di Gesù ciò che più può ispirarvi nel vostro lavoro.
Vi benedico di cuore, vi incoraggio e vi dico che nutro molta speranza per quello che fate. Sono certo che è una speranza ben riposta. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!
Di seguito il discorso del Presidente Maurizio Gardini
Santo Padre,
sono passati quattro anni dal nostro primo incontro, che ricorderemo per tutta la vita.In quella occasione ci impegnammo a dar vita ad un progetto che era un Suo desiderio: essere nelle parrocchie delle periferie per prestare le cure necessarie ad un’infanzia in difficoltà e agli anziani in stato di indigenza. Lo abbiamo fatto e “Non ti scordar di me” - così si chiama il progetto - è diventato una efficace rete di assistenza e di solidarietà che ha effettuato 872 giornate di attività, erogato 5.624 visite a bambini ed anziani nelle 27 parrocchie coinvolte delle periferie romane e in tre campi Rom.
Le persone che riempiono oggi questa sala hanno in comune una diversa visione del mondo: questo li ha resi cooperatori e cooperatrici, cioè servitori del bene comune piuttosto che semplici imprenditori al servizio di quella parte dell’economia guidata dalla massimizzazione del profitto.
Questo comune sentire, ispirato ai valori della Rerum Novarum di Papa Leone XIII, ci ha guidati nel lungo cammino che oggi compie cento anni.
Vogliamo continuare la nostra missione, confortati da quanto vorrà dirci per ispirare il proseguimento del nostro cammino.
Quattro anni fa Lei ci aveva ricordato le radici della cooperazione che noi rappresentiamo, quella Dottrina Sociale della Chiesa che avvicina la nostra missione all’essenza delle relazioni umane. Relazioni oggi in crisi più di ieri a causa dell’insediarsi, nelle nostre vite, di paura e insicurezza sul domani e dell’acuirsi delle disuguaglianze sociali.
In un simile scenario, la cooperazione gioca un ruolo chiave con la sua capacità di aprire varchi nelle comunità e rispondere ai bisogni delle persone. Cooperando possiamo ricostruire una cultura dell’altro che ci aiuti ad abbattere i muri della prigione che si chiama indifferenza.
Mentre crescono la povertà, il divario tra i ricchi e i poveri, l’asimmetria nei territori del nostro Paese e del mondo intero, noi frequentiamo le periferie esistenziali che Lei ci aveva indicato.Animiamo laboratori d’idee e di progetti, ci adoperiamo per restituire dignità alle persone più fragili, sia attraverso il lavoro sia col welfare diffuso; ascoltiamo le comunità per costruire insieme a loro nuove opportunità per i territori, quelli urbani e quelli in aree interne.
Tutto questo lo facciamo affidandoci alle competenze e alla passione che abbiamo nei territori e nei settori – qui rappresentati.Lo facciamo attraverso la cooperazione agroalimentare e della pesca che hanno l’ambizioso obiettivo di garantire il giusto reddito di chi lavora e di produrre cibo per tutti con pratiche sostenibili e responsabili.Lo facciamo grazie alla cooperazione di credito che da 130 anni garantisce l’accesso al credito di famiglie e piccole imprese, a giuste condizioni.
C’è la cooperazione di lavoro e servizi che, oltre a dare dignità a tanti lavori umili ma essenziali, consente ancora oggi di recuperare e salvare il lavoro delle imprese in crisi.
Con la cooperazione di abitazione, oltre a garantire una casa per tutti, oggi siamo fortemente impegnati nella riqualificazione dei luoghi del vivere, siano essi i quartieri periferici delle grandi città oppure i borghi dimenticati e lontani dalle grandi direttrici dello sviluppo.
Con la cooperazione sociale e sanitaria diamo una risposta importante a quel bisogno di welfare sussidiario ed universalistico che connota da sempre lo stare insieme, la forza della nostra mission.
Con la cooperazione della cultura, dello sport e del turismo valorizziamo il nostro patrimonio storico, artistico e culturale fuori dai grandi circuiti e siamo impegnati affinché tanti giovani possano accedere a pratiche sportive, meno agonistiche e più sociali.
Infine, la cooperazione di consumo e di utenza, che nei libri di storia appare come la fondatrice della cooperazione, non ha perso la centralità di una missione sociale ancora di grande utilità per le comunità, soprattutto quelle più piccole e fragili.
La storia ci dirà se la cooperazione ha assolto o meno al suo compito; intanto i risultati che noi possiamo misurare oggi ci fanno sperare di aver dato continuità ad una storia che è iniziata proprio per dare speranza.
Ci stiamo preparando alle nuove sfide e abbiamo bisogno di una guida da chi ci segue con affetto, come fa la Chiesa. Per questo il 24 ottobre avremo un incontro anche con i Vescovi d’Italia.
In questo nuovo secolo ci sentiamo guidati dalla Laudato Si’. La Sua Enciclica, Santità, è arrivata per ricordare a tutti che questo pianeta ci ha preceduto e ci dovrà sopravvivere e ha segnato una svolta nella nostra visione strategica e nei nostri comportamenti. Proprio dal 2015, infatti, Confcooperative, ispirata dal principio dell’intergenerazionalità che ci è proprio, ha iniziato a misurare le proprie attività col metro della sostenibilità. Una sostenibilità che noi consideriamo nella sua interpretazione più ampia, non solo ambientale ma anche economica e soprattutto sociale. Una visione che ci sta a cuore e nella quale crediamo fortemente, promuovendola in casa nostra ma anche fuori.
Infine Santo Padre, ci siamo permessi anche oggi di portare alla Sua attenzione alcune storie di vita ordinaria, di gente comune, che con il corretto utilizzo dello strumento cooperativo, riescono a fare cose grandi sommando le singole capacità di ognuno, anzi come Lei ci disse 4 anni fa, in cooperazione 1 + 1 fa 3!
Sono tre storie che rappresentano l’impegno di tutta la cooperazione in Italia.
La fattoria “Fuori di zucca” nasce dalla cooperativa “Un fiore per la vita”, un progetto d’inserimento per persone con problemi di tossicodipendenza. Da terre inquinate dalla criminalità e dai rifiuti, tra Napoli e Caserta, nascono prodotti biologici di qualità coltivati da persone che hanno riconquistato un posto dentro la vita attraverso il rispetto dell’ambiente.
Civico 81 è un progetto di rigenerazione urbana; con nuovi spazi e servizi alla comunità cremonese, un’attenzione particolare alle personesvantaggiate ed al coinvolgimento dei cittadini nella cura. 800 persone al giorno vengono accolte in poliambulatorio, centro diurno per adolescenti, centro diurno di neuropsichiatria infantile, comunità di neuropsichiatria infantile e molto altro.
La cooperativa Soles Tech è quella che Lei chiamerebbe una ”empresa recuperada”; nata a Forlì nel 2015 grazie ad un gruppo di lavoratori che, dopo lo choc per la chiusura della loro azienda nel 2013, si sono rimboccati le maniche e, insieme, sono diventati imprenditori. Si occupano di proteggere gli edifici dal rischio sismico, un lavoro prezioso e a tempo pieno nel nostro Paese.